Perché dovresti investire nell’identità visiva del tuo brand e come farlo al meglio

La scienza e l’istinto insieme ci possono aiutare a capire come investire bene il nostro budget nell'identità visiva, ma solo se saremo consapevoli delle leggi che regolano il gioco della percezione dei nostri visual.
identità visiva brand

Tabella dei Contenuti

Identità Visiva e Brand

Diciamocelo onestamente.

Per molti imprenditori l’idea di investire parti consistenti del proprio budget sull’identità visiva non è facile. Quando ci si mette a definire gli investimenti per il nuovo anno c’è sempre qualcosa che finisce prima del rifare il sito, curare l’impaginazione della propria brochure, migliorare l’immagine coordinata, ecc…

Intendiamoci, ci sono dei momenti nella crescita del proprio business in cui ci sta di non doversene occupare. Magari in quel periodo si deve investire nei processi, in nuovi macchinari, in risorse umane, ecc… ma un conto è rimandare con consapevolezza, un altro è non considerare il valore di quel lavoro e pensare che l’importante è il contenuto e non la forma.

Con questo articolo vorrei aiutarvi a comprendere che la forma è contenuto, lo è nei fatti, le vedremo insieme con esempi pratici.

Spesso si pensa alla grafica esclusivamente come “decorazione” di un contenuto. Immaginando che questo momento venga operato in una sorta di trance creativa, romanticamente artistica. Aldilà della valutazione superficiale che spesso si fa sul ruolo non funzionale della decorazione, e ci arriveremo a parlarne, capiremo che nella realtà l’azione di organizzare contenuti, della gerarchia, della pleasurability, è parte integrante del racconto che facciamo della nostra azienda o del nostro prodotto. E quindi fondazione della comunicazione.

Il “problema” è che il linguaggio visivo parla in maniera così diretta al consumatore e a un livello così profondo che è molto difficile da razionalizzare e decostruire. Siamo continuamente esposti a visual di ogni tipo e anche per questo motivo il nostro livello di attenzione si abbassa ulteriormente. Quando poi ci troviamo a essere noi a doverli progettare ci troviamo a fare uno sforzo cognitivo non indifferente.

Molto spesso da consumatori ci capita di giudicare un logo, un packaging o una grafica sui social con un immediato “mi piace” o “non mi piace”, ma capire cosa c’è dietro a quel giudizio ci permette di avere una consapevolezza e un vantaggio non da poco quando deleghiamo un visual da creare per la nostra azienda.

Andiamo a vedere, nella pratica quindi, i fattori percettivi e non solo, con i quali chi vedrà il nostro design dovrà avere necessariamente a che fare, fondamentali per valutare un design che risponda al meglio ai nostro obiettivi di business.

La prima impressione conta ed è immediata!

Gli utenti sviluppano un’impressione su ciò che vedono in media in 50 millisecondi! Lo dice uno studio di Google del 2021. In un altro studio addirittura si ipotizza che questo possa avvenire in 500ms o meno. Per molti utenti questa impressione puramente estetica e irrazionale condizionerà irrimediabilmente l’opinione che si faranno del brand o del prodotto ed è evidente a tutti che se questa sarà negativa, ci saranno buone probabilità di non rivederlo mai più quel cliente.

Senza scomodare costosi studi anche pensando alla nostra esperienza personale quante volte i nostri genitori ci hanno detto “la prima impressione conta” ? Oppure abbiamo pensato a come migliorare il nostro aspetto esteriore, un trucco o un vestito giusto per fare colpo su una persona?

Come procedere allora?

Meno complessità

Prendiamo a esempio un sito web, ma questo vale anche per una brochure. Come prima cosa dobbiamo cerchiamo di far percepire meno complessità possibile per lasciare spazio e dignità alle informazioni che riteniamo debbano essere primariamente percepite. Sì certo questo vuol dire fare scelte difficili, sacrificare dei contenuti, ma sarà a tutto vantaggio dell’utente che non può e non deve essere investito da mille messaggi.

identità visiva brand
Un esempio di un restyling per un sito web di una nostra cliente

 

Facciamola facile…

Usiamo elementi grafici come icone o palette cromatiche che richiamano il nostro mercato di riferimento. Questi saranno già radicati e facilmente riconoscibili nella mente dei nostri prospect e ci potranno aiutare a essere immediatamente riconosciuti ancora prima di leggere un qualsiasi testo.

… Ma non troppo

Sforziamoci al tempo stesso di trovare anche una nostra unicità visiva, anche se piccola (colore? font? scelte illustrative o fotografiche?) che si discosti dai nostri competitor. Una delle regole più importanti spesso dimenticate è: Contrast is the king

Rimaniamo allineati al nostro posizionamento

Tenere sempre in mente il posizionamento economico della propria utenza. Evitare scelte di design che ne siano distanti. Esempio banale: utilizzo di elementi visivi (oro e nero? bianco e nero?) che richiamino a prodotti di lusso se il nostro obiettivo è voler battere la concorrenza sul prezzo. Sembra scontato dirlo, ma è un errore comune vedere utilizzate retoriche visive che richiamano lusso e qualità su prodotti che puntano magari tutto sul prezzo. Siamo realisti e non cerchiamo di ingannare il nostro cliente, acquisteremo la sua fedeltà.

Semplificare sì, ma non troppo

Gli psicologi della Gestalt, movimento dei primi del 900, teorizzarono tra le altre cose che nel processo percettivo era importante considerare la “buona forma”, cioè ricordarci come prima cosa che la struttura percepita è sempre la più semplice.

Possiamo facilmente applicare questo concetto in un contesto grafico dove ci verrà più facile riconoscere di primo impatto una forma semplice.

Immaginiamoci un foglio pieno di forme complesse, ornamenti, cornici, immagini e testi. Un semplice cerchio con dello spazio bianco intorno attirerà sicuramente il nostro sguardo prima di tutto il resto. Questo concetto ci torna utile in molti casi, per esempio dove il contesto in cui il nostro visual apparirà non sarà da noi governabile. Pensate ai social network dove la nostra grafica è inserita in un feed di altri centinaia di post oppure in una stories dove solo qualche secondo prima potevamo trovarci in un contesto visivo completamente diverso.

È evidente che qui è ancora più importante guadagnarci la nostra riconoscibilità visiva, molto spesso in frazioni di secondo. Solo così ci garantiremo la nostra fetta di attenzione i messaggi commerciali, e non solo, che accompagneranno la nostra grafica saranno associati facilmente e istintivamente al nostro logo o alla nostra particolare palette cromatica e via discorrendo.

Ricordiamo quindi:

Siamo fatti per memorizzare

Il cervello umano è fatto per memorizzare e assegnare significati alle forme, partendo in maniera gerarchica dalle più semplici fino ad andare via via verso la complessità.

Equilibrio Asimmetrico

La simmetria e la “semplicità” delle forme ci donano sempre un senso di armonia immediato, pensate a quanto è appagante una bella foto orizzontale di un tramonto o una prospettiva ben bilanciata. Ma dopo il primo impatto questa composizione diventerà ben presto noiosa e poco memorabile. Inserire in una grafica bilanciata degli elementi asimmetrici per esempio è un ottimo modo per rendere piacevole e al tempo stesso memorabile la nostra composizione.

Se è vero che la simmetria ci dona equilibrio, è nella asimmetria che gli esseri umani trovano elementi di riconoscibilità che si fissano nel tempo, un classico esempio è la regola dei terzi in fotografia oppure il bilanciamento geometrico che esiste nel nostro alfabeto tra lettere composte simmetricamente (A M O T U, ecc…) e altre asimmetriche (F, G, L, N, Q, ecc…) che sono propedeutiche proprio a rendere, nel suo complesso, l’alfabeto più facilmente memorizzabile.

Restyling di una brochure per un nostro cliente dove abbiamo usato sia elementi che bilanciassero la composizione, rendendola piacevole, ma al tempo stesso anche elementi asimmetrici per renderla interessante e memorizzabile

A ogni cosa il suo spazio, bianco

Manteniamo sempre dei buoni margini tra gli elementi. Più spazio bianco significa che viene presentata meno informazione e, allo stesso tempo, che una maggiore attenzione sarà dedicata a ciò che è stato reso meno disponibile. (John Maeda)

Il colore non è, solo, questione di gusto

La teoria su come i colori possano impattare su di noi viene spesso banalizzata. Si dice spesso “Il giallo fa allegria, oppure rosso per la passione, ecc…” In realtà molti studi ci hanno dimostrato che questo processo è più soggettivo di quanto pensiamo, se poi consideriamo anche agli aspetti culturali allora immaginare di associare un concetto o un’emozione univoca ad un colore è praticamente impossibile.

La cosa però più importante che non è quasi mai evidente razionalmente è che il colore è il primo elemento di riconoscibilità di un brand molto prima del logo ad esempio. Soprattutto se lo decliniamo in una precisa di categoria di mercato ha il potere di fissare il nostro brand in maniera indelebile nella mente dei consumatori. Se vi dico bevanda e vi dico rosso a cosa pensate? Se vi dico computer e vi dico bianco?

Quindi è assolutamente necessario pensare molto bene al colore verso il quale ci legheremo. Se stiamo pensando all’immagine coordinata di un’azienda per esempio ricordiamoci che:

Il colore non è solo “emozione”

Non pensate a scegliere un colore per il vostro brand solo per associarlo a una precisa emozione. Giallo o Arancione = Felicità, ecc… Soprattutto se avete mire internazionali, questo può essere percepito in maniera totalmente opposta da altre culture.

Color Contrast is the king

Una buona idea potrebbe essere quella di scegliere un colore di brand che nella vostra nicchia di mercato non è stato mai usato. Rompiamo qualche regola.  Coca-Cola o Tiffany sono degli esempi classici. Il mondo del delivery anche è un esempio dove la battaglia della riconoscibilità dei rider in strada si gioca quasi esclusivamente sul colore.

Nel dubbio non farlo blu

Le prime 500 aziende al mondo in ordine di fatturato secondo Fortune il 43% hanno scelto il blu. È inoffensivo e fa subito business sembra essere il motivo di tanto successo. Ma se non avete il budget per competere con i loro forse è il caso di usare qualche arma percettiva e il colore può essere un ottimo alleato.

Coesi e consistenti nel tempo

Una volta scelto il colore dobbiamo essere coesi e consistenti nel suo utilizzo in ogni output e soprattutto nel tempo. Molti pensano che il successo del verde tiffany sia stato dovuto solo alla sua originalità nella scelta in quel contesto, ma più di quello ha contato l’essere stati persistenti e coerenti per più di 170 anni.

Di che colore è il cavallo bianco di Napoleone?

Ho sempre pensato che questa domanda avesse senso. Quanti tipi di bianco possiamo citare? Infiniti praticamente, soprattutto se consideriamo che quel colore lo vedremo attraverso uno schermo, stampato in un libro, ecc… Il colore che sceglieremo dovrà essere riprodotto su vari output e in vari contesti. In modo particolare quello cartaceo dove le differenze cromatiche sono più evidenti rispetto allo schermo. Esempio classico è tenere a mente che se scegliamo colori fluorescenti o eccessivamente brillanti questi funzioneranno molto bene sul web sicuramente ma in stampa li vedremo molto desaturati, creando un deragliamento dell’identità visiva assai pericoloso e poco piacevole. A meno di non investire in costose tecnologie di stampa come la stampa a pantone che potrebbero però essere non sempre applicabili (stampa di gadget, serigrafie, ecc…)

Le immagini hanno sempre un peso

Se il colore, il logo e gli elementi grafici rappresentano valori, significati o ci rendono semplicemente riconoscibili, la scelta di quali immagini o illustrazioni da inserire nei propri output parla molto di più del contenuto della comunicazione passando ad un livello che ci appare più comprensibile ed entrando in un campo editoriale che è più appannaggio dei colleghi del marketing.

Ma vale la pena fare alcune considerazioni di massima anche qui per scegliere meglio o valutare una scelta fatta dal nostro fornitore con più consapevolezza:

Facciamoci vedere

Non dimenticare mai che farsi vedere è molto importante. Se stessi, il proprio team, la propria sede. Soprattutto se il nostro processo di contatto con il cliente è online e dobbiamo sopperire alla mancanza di contatto visivo e fisico. Investiamo un budget in un buon photo shooting, ne verremmo ripagati sicuramente.

Hide the pain Harold

Le immagini di stock possono aiutare a volte, ma evitiamo quelle troppo impostate, troppo patinate o troppo usate. Alcuni di voi forse conoscono la storia di András Arató, vero? È un tipo di asset che è invecchiato male e ha perso molto del suo impatto nel giro di pochi anni, cioè da quando i marketplace sono diventati a buon mercato (Adobe Stock) o addirittura free (Unsplash & company). Esistono ottime risorse online, magari meno economiche, ma con qualità nettamente maggiore degli stock free o commerciali. Perché l’effetto “volantino della pizzeria” è dietro l’angolo, occhio!

identità visiva brand
Non l’abbiamo già vista troppo questa immagine per continuare a usarla?

Illustrazioni flat, illustrazioni “piatte”?

Sono ormai più di dieci anni da quando le illustrazioni flat (dette anche “Corporate Memphis”) hanno fatto la loro comparsa. Hanno aiutato molte big-tech nel raccontare la propria ascesa nei primi anni 10 del nuovo millennio e tutt’ora nell’ambito startup o saas sono usate in abbondanza. Spesso dove non c’è un prodotto fisico o una sede da far vedere, ricorrere a questo tipo di illustrazioni aiuta, ma attenzione all’originalità, finire nell’anonimato è facilissimo, soprattutto ricorrendo a illustrazioni free o stock anche qui. Il web non è poi un posto così grande.

Vi ricorda qualcosa di già visto? Sì, ricordate bene.

Le immagini raccontano

Ricordiamoci sempre che le immagini, e parliamo in particolar modo di fotografie, hanno al loro interno tantissimi elementi di racconto che facciamo fatica a razionalizzare immediatamente ma, come nel discorso fatto prima, ci riescono a colpire come e più di un testo scritto. Cosa ci racconta la foto? Il protagonista ci sta guardando, chi è? Il contesto sociale della foto cosa ci racconta? Il nostro consumatore ci si rivede? Andrebbe sicuramente sviluppato un discorso molto più approfondito, vi lascio poi delle letture in calce.

Estetica e cultura visiva

Bene, abbiamo capito che dietro a ogni scelta visiva in realtà non c’è solo un gusto personale, ma anche tanta professionalità che deve tenere in considerazione biologia e psicologia dei consumatori. Negli ultimi anni con l’esplosione di discipline come la UserExperience c’è una grande attenzione ai temi del data-driven-design (cioè giustificare ogni scelta di design sempre sulla base di dati di ritorno dell’esperienza utente) ed è sicuramente giusto avere un’attenzione su questo, chiaramente se parliamo di interfacce che prevedano un’interazione tracciabile.

Di contro questa sana attenzione sta facendo scivolare il processo di progettazione verso un’aridità preoccupante, dovuta anche ad altri fattori che magari approfondiremo in un altro articolo. Credo che oggi non si dia abbastanza valore alla cultura visiva che un professionista può avere e il valore che può portare nell’ambito della “pleasurability” nei design che produce. Parlo di questa parola perché la troviamo presente proprio in una gerarchia dei bisogni dell’utente che ha disegnato Aarron Walter, un guru della UX della rinomata NNGroup.

Quindi ricordiamoci su questo aspetto:

Dopo che abbiamo considerato tutti i fattori funzionali di un design, non dimentichiamoci di fattori decorativi e culturali che possano appagare lo sguardo del nostro target di riferimento.

Esporsi al bello arricchisce allo stesso modo di una buona lettura. Prima di metterci a disegnare o a far disegnare qualcosa qualcosa prendiamo ci del tempo e guardiamo e assorbiamo da chi è stato più bravo di noi lasciando sedimentare.

Un grande designer italiano, Alessandro Mendini, diceva: L’ornamento è positivo perché è l’elemento narrativo che anima l’oggetto freddo e tautologico. Tutto ciò non significa un abbandono alla superficialità, bensì un vero e proprio culto della superficie, sulla quale si iscrive decorandola, una ricchezza del racconto visivo che riscatta la stupidità della funzione.

Pensiamo sempre al contesto

Fatte tutte queste considerazioni dovremmo avere abbastanza strumenti per metterci al lavoro. Ricordiamo un’ultima ma fondamentale cosa. Il contesto o i contesti in cui il nostro progetto sarà fruito. Potremmo non pensarci davanti al nostro “foglio bianco” o alla ricezione di una bozza dalla nostra agenzia. Ma è evidente a tutti che ormai il nostro prodotto o azienda viene rappresentato in output con caratteristiche radicalmente diverse tra loro, basti pensare alle differenze di modalità di esperienza che ci sono tra un facebook e un instagram, e poi abbiamo il sito web, e poi il cartaceo e così via. È evidente che dobbiamo riuscire a costruire un impianto visivo che trasmetta, nel suo insieme e nei vari canali, un messaggio coerente e coesivo.

In conclusione: Se voglio affidarmi a qualcuno che faccia questo lavoro come lo scelgo?

Abbiamo capito che il processo di identificazione e percezione dei consumatori è velocissimo e complesso allo stesso tempo. È importante ora, come non mai, avere un approccio che sia al tempo stesso guidato dai dati (quantitativo) ma che non si dimentichi del lato emotivo che un visual sappiamo può scatenare (qualitativo). Non scambiamo mai leggibilità con comunicazione perché il passo tra essere chiari e diventare invisibili è molto breve.

Come valutare quindi un’agenzia o un professionista che possa comprendere la complessità dei nostri clienti e il rapporto che avranno con i nostri artefatti grafici. Norman Potter, nel suo “Cos’è un designer” diceva “un designer lavora attraverso e per altre persone e deve preoccuparsi soprattutto dei loro problemi, anziché dei propri”

Questo un bravo designer e una brava agenzia lo sa molto bene e sa che è un lavoro che va protratto, seguito e anche modificato nel tempo seguendo i mutamenti del prodotto, del mercato e dei contesti.

Cercate, quindi, di:

  1. Capire se chi vi dovrà curare l’immagine aziendale risponda a questa descrizione
  2. Indagate il suo metodo di lavoro, è importante che ne abbia uno e che sia puntuale e approfondito
  3. Non ultimo lasciatevi anche ispirare istintivamente dal suo portfolio, perché no. Ma ricordate, solo e soltanto se sarete in grado di mettervi nei panni del vostro cliente, pensando e agendo come lui, dimenticando voi stessi.

 

Vi lascio in calce alcuni dei libri e articoli che hanno ispirato molte delle considerazioni fatte nell’articolo che spero possano servire anche a voi per approfondire alcune tematiche.

  • Nicola Bonora – Content Design (Apogeo, 2019)
  • Daniele Orzati – Visual Storytelling (Hoepli, 2019)
  • Norman Potter – Cos’è un designer (Codice Edizioni, 1980)
  • Adrian Frutiger – Segni e simboli (Stampa Alternativa, 1978)
  • Eduard Helmann, Brian Switzer – Rethoric of Logos (Arthur Niggli, 2016)
  • Why does every advert look the same? Blame Corporate Memphis – Wired.com

Se vuoi leggere un nostro articolo sui visual trend del 2021 per prepararti a questo nuovo anno leggi VISUAL TRENDS 2021? PARLIAMONE!